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Recensione a cura di Goffredo Adinolfi, Il Manifesto:

Vincenzo Russo, La Resistenza continua. Il colonialismo portoghese, le lotte di liberazione e gli intellettuali italiani

Le lotte di liberazione dal Portogallo di Salazar

La Resistenza continua. Il colonialismo portoghese, le lotte di liberazione e gli intellettuali italiani (Meltemi, pp. 190, euro 16) non è solo un libro, ma un viaggio che Vincenzo Russo struttura a dimensioni sovrapposte. Tematica centrale del saggio il processo di decolonizzazione dei paesi africani dal Portogallo salazarista negli anni sessanta e settanta. Una sottile linea rossa che dall’Italia porta al Mozambico, Guinea Bissau, Capo Verde, São Tomé e Príncipe e Angola passando chiaramente per Lisbona e Roma.

Un argomento non facile da trattare perché tutto sommato Italia e Portogallo sono due paesi che si conoscono poco. L’uno esce dalla dittatura il 25 aprile del 1945, l’altro deve aspettare il 25 aprile del 1974. Fascismo, antifascismo, resistenza e decolonizzazione sono i piani che si interpongono in modo non necessariamente lineare. Russo ci accompagna mano nella mano in questo percorso, spiegandoci come e perché nel passaggio dalla resistenza antifascista in Italia alla decolonizzazione in Africa ci sono sì delle continuità ma anche delle forti discontinuità. Un passaggio cruciale perché – come diceva Frantz Fanon – l’Angola rappresenta quasi una seconda Algeria, o, sotto altri punti di vista, un secondo Vietnam. Il prisma attraverso il quale si svolge il viaggio è quello del mondo intellettuale italiano, in particolare Joyce Lussu che in Portogallo c’era stata esule proprio durante la seconda guerra mondiale e Giovanni Pirelli. Giovani africani come Amílcar Cabral, guineense, Agostinho Neto, angolano, sono a Lisbona per studiare l’uno ingegneria agroalimentare, l’altro medicina. Lì si incontrano con il movimento antifascista lusitano e in particolare con il Partido Comunista Português che, a partire dall’inizio degli anni cinquanta, sceglie la strada della solidarietà con i movimenti di liberazione. È quello un periodo in cui l’Europa comincia a prendere timidamente coscienza degli errori del suo passato coloniale e, poco più tardi, oltre oceano, sulla scorta della guerra del Vietnam, scoppia il ‘68.

Per quanto paradossale possa apparire, anche all’interno delle strutture della Nato il conflitto tra i sostenitori della guerra portoghese, membro fondatore dell’Alleanza Atlantica, e i suoi detrattori, in particolare Danimarca, Norvegia e Olanda, ma ad alcuni tratti anche l’amministrazione Kennedy, è molto forte. C’è un intero mondo in rivolta e a Lisbona come in tutta Europa i governi non possono non tenere conto delle proprie opinioni pubbliche.

Così, spiega Russo, sul piano della costruzione di una nuova egemonia culturale anche la poesia svolge un ruolo rivoluzionario. Non è un caso che a interessarsi agli scrittori dell’Africa lusitana siano figure come Pier Paolo Pasolini o la stessa Lussu che in Italia traduce l’opera di Neto. Giuseppe Tavani pubblica il volume edito da Laterza intitolato Poesia africana di rivolta. Quello che propone l’autore è uno sguardo importante perché parla non solo della decolonizzazione, ma anche di noi italiani, e di come abbiamo recepito quel pezzo di storia che ci riguarda da vicino. Una vicenda dolorosa su cui era importante accendere i riflettori.

(Il Manifesto, 13-05-2020, p. 11)